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Nasce il primo Dizionario Emozionale per ridurre la distanza tra medico e paziente

Nasce il primo Dizionario Emozionale per  ridurre la distanza tra medico e paziente

Oncologia: nasce il primo Dizionario Emozionale, un viaggio intorno alle parole chiave della cura per migliorare la comunicazione e ridurre la distanza tra medico e paziente

 

Una mappa di 13 parole chiave della relazione di cura in Oncologia raccontate dal punto di vista  di specialisti, pazienti e caregiver, per cercare un punto d’incontro tra il linguaggio tecnico del medico  e quello emotivo di chi affronta un tumore.

 

Il Dizionario Emozionale-Atlante delle Parole chiave in Oncologia curato dal linguista Giuseppe Antonelli, Università degli Studi di Pavia è stato messo a punto sulla base di una consultazione a vasto raggio nell’ambito de “Il senso delle parole – Un’altra comunicazione è possibile”, campagna promossa da Takeda Italia in partnership con AIL, AIPaSiM, Salute Donna Onlus, SIPO, Trust Paola Gonzato – Rete Sarcoma Onlus e WALCE e con il patrocinio di Fondazione AIOM.

 

La consultazione sui “nodi” della comunicazione tra specialisti, pazienti e caregiver su cui si è basata l’elaborazione del Dizionario ha messo in luce le aree su cui intervenire per migliorare la comunicazione e l’ascolto in Oncologia, dal potenziamento delle competenze comunicative di medici e infermieri, al supporto psiconcologico, alla formazione specifica per i caregiver.  

 

 

Roma, 11 novembre 2021 – Un viaggio intorno a 13 parole chiave della relazione di cura in Oncologia per raccontarne tutti i significati, razionali ed emozionali, dal punto di vista del medico e del paziente. Parole come ad esempio diagnosi, prognosi, recidiva, metastasi, pronunciate da specialisti, infermieri e ascoltate da pazienti e caregiver, spesso risuonano in modo differente tra chi cura e chi è curato, nascondendo emozioni, stati d’animo, bisogni inespressi, oltre a quelli strettamente legati alla terapia.

Aiutare il medico a entrare in contatto con il vissuto dei pazienti, e questi ultimi a comprendere meglio “il senso delle parole” secondo il medico, è l’obiettivo del Dizionario Emozionale - Atlante delle Parole chiave in Oncologia realizzato a cura di Giuseppe Antonelli, Professore Ordinario di Linguistica italiana, Università degli Studi di Pavia, nell’ambito della campagna di comunicazione “Il senso delle parole – Un’altra comunicazione è possibile.”

La campagna, nata con l’obiettivo di migliorare la qualità delle relazioni tra persone con tumore, medici e caregiver proprio a partire dalla parola, è promossa da Takeda Italia in partnership con AIL – Associazione Italiana contro le Leucemie-linfomi e mieloma Onlus; AIPaSIM – Associazione Italiana Pazienti con Sindrome Mielodisplastica; Salute Donna Onlus, SIPO – Società Italiana di Psico-Oncologia, Trust Paola Gonzato – Rete Sarcoma Onlus e WALCE onlus – Women Against Lung Cancer in Europe e con il patrocinio della Fondazione AIOM.

Il Dizionario è stato messo a punto sulla base di una consultazione che – attraverso analisi del sentiment, sondaggi online e incontri di confronto – ha rilevato i significati attribuiti da specialisti, pazienti e caregiver alle 13 parole chiave identificate dal board della campagna.

«Il Dizionario emozionale mette a fuoco la centralità della dimensione linguistica nel processo di cura per contribuire a instaurare un dialogo medico-paziente basato sulla fiducia reciproca – afferma Giuseppe Antonelli Il Dizionario emozionale valorizza l’investimento emotivo che ogni paziente opera sul lessico specialistico, quella coloritura personale che conferisce ai termini tecnici significati imprevisti e fortemente soggettivi. Ogni voce del dizionario è pensata proprio per far emergere queste sfumature di significato in cui diventa più evidente il bisogno di relazione, di dialogo con il medico».

Le parole chiave delle malattie oncologiche non fanno parte solo del bagaglio tecnico di medici e infermieri, ma sono entrate nel lessico degli oltre 3.600.000 italiani che hanno avuto una diagnosi di tumore, dei loro famigliari, dei caregiver. Il peso emotivo della malattia, però, amplifica, moltiplica ed espande i significati associati a ogni termine, caricandoli di una tensione emotiva che si contrappone alla precisione e alla neutralità del linguaggio tecnico usato dal medico.

Ad esempio, la parola “diagnosi” – che per il medico indica la comunicazione di un giudizio clinico e una prima certezza per mettere a fuoco la malattia – per il paziente si associa a un’esperienza di dolore e solitudine associata a una immagine forte come quella di una scure sospesa sopra la propria testa. Al contrario, la parola remissione è vissuta dai pazienti come equivalente a liberazione, ritorno alla normalità, mentre per il medico è soltanto l’attenuazione o regressione dei sintomi che va comunicata senza alimentare speranze illusorie.

Il Dizionario rappresenta oggi uno strumento in più a supporto di medici, pazienti e caregiver per provare a trovare un terreno comune di comunicazione e migliorare la relazione di cura.

«In Takeda ci chiediamo sempre cosa possiamo fare di più per i pazienti – commenta Anna Maria Bencini, Oncology Country Head di Takeda Italia – La campagna Il Senso delle Parole e il Dizionario Emozionale sono un esempio di come la filosofia Takeda si traduca in realtà. Con questa iniziativa abbiamo voluto accendere i riflettori sui bisogni psico-sociali ed emotivi delle persone affette da una patologia oncologica e sostenere medici, pazienti e familiari attraverso uno strumento tangibile e concreto».

Dalla consultazione che ha preceduto la redazione del Dizionario sono emerse però numerose aree di bisogno da affrontare per superare il disallineamento nella comunicazione, che amplifica il distress psicologico del paziente e ha un notevole impatto sulla sua capacità di convivere con la malattia, aderire alla terapia, gestire le relazioni sociali e il reinserimento professionale.

Oltre alla mancanza negli operatori di una formazione specifica per gestire il pesante carico emotivo e il bisogno informativo dei pazienti, pesano carenze organizzative, affollamento degli ambulatori e carico “amministrativo”. Il caregiver, ovvero il familiare che si occupa informalmente della cura e del supporto del malato, potrebbe svolgere un ruolo di collegamento per colmare la distanza nella comunicazione tra paziente e medico, ma deve spesso a sua volta fronteggiare un forte carico emozionale.

Su tali bisogni – oltre che sulla diffusione del Dizionario – lavoreranno nei prossimi mesi le Associazioni che sostengono la campagna, con l’obiettivo di sensibilizzare le istituzioni ad adottare interventi per migliorare la comunicazione e l’ascolto in Oncologia attraverso il potenziamento delle competenze comunicative di medici e infermieri, il supporto psiconcologico per il paziente e i famigliari e la formazione specifica per i caregiver nella gestione delle proprie reazioni emotive e delle problematiche legate all’attività di cura, in particolare quelle relative alla relazione con il paziente e alla comunicazione con il medico.

 

Il Dizionario Emozionale-Atlante delle Parole chiave in Oncologia è disponibile

sul sito www.ilsensodelleparole.it

 

 

 

La comunicazione specialisti-pazienti e l’ascolto dei bisogni psicosociali:

il punto di vista degli esperti

 

Sergio Amadori, Presidente Nazionale AIL

«Trovare un punto d’incontro tra l’esperienza “soggettiva” di sofferenza del paziente e la visione medico-scientifica “oggettiva” del medico è uno degli aspetti centrali del processo di cura. La comunicazione, oltre a essere semplice e chiara, deve servire a creare un rapporto di assoluta fiducia, deve far emergere le preoccupazioni e i vissuti del paziente e comprenderne il più possibile i bisogni per mantenere nel tempo quella relazione che è alla base dell’alleanza terapeutica. L’analisi e la riflessione sulle parole chiave del percorso di cura contenute nel Dizionario Emozionale offrono indicazioni importanti a noi medici su come "usare" alcuni di questi termini. Per esempio, sappiamo che la comunicazione della diagnosi è un passaggio difficile per i pazienti e per gli stessi medici, ma il Dizionario ci mostra il tipo di associazioni mentali che si sviluppano sovente nel paziente rispetto a questa parola e invita una volta di più noi medici ad adottare una comunicazione trasparente, che non nasconda nulla ma aiuti concretamente e con delicatezza il paziente a comprendere il percorso di cura che gli si prospetta. La stessa consapevolezza è richiesta per altre parole che hanno un impatto cruciale nella percezione della malattia da parte dei pazienti, come recidiva, remissione, tumore, cronicizzazione, tutti vocaboli per i quali occorre saper trovare il giusto equilibrio tra informazione e relazione».

 

 

 

 

Jennifer Foglietta, Medico SC Oncologia Medica e Traslazionale Ospedale Santa Maria di Terni, Consigliere Fondazione AIOM

 

«La comunicazione tra i professionisti della salute e i pazienti è carente sotto molti aspetti. Le cause dell’insuccesso comunicativo e relazionale sono molteplici: dalla mancanza di tempo a una deficitaria organizzazione delle strutture di cura e assistenza fino alla difficoltà da parte di medici e infermieri di relazionarsi con i pazienti in un momento così delicato della loro vita. Il paziente e la sua famiglia hanno esigenze precise, hanno tante domande e tanti dubbi, cui fa da sottofondo un forte disagio emotivo legato alla nuova condizione di malato oncologico e onco-ematologico. In questa prospettiva sarebbe sicuramente utile inserire programmi all’interno del corso di laurea e specialistico dedicati alla formazione in comunicazione tali da fornire abilità e competenze specifiche in quest’area che riguarda direttamente la centralità della persona/paziente. La formazione deve saper sviluppare la capacità empatica e interattiva, l’enunciazione di concetti difficili in parole semplici e comprensibili, e deve potenziare l’ascolto per rispettare la sensibilità e le aspettative del paziente».

 

 

 

 

 

Ornella Gonzato, Presidente Trust Paola Gonzato – Rete Sarcoma Onlus

«La “comunicazione” razionale trasmette conoscenza, spiega la malattia, ma non c’è possibilità di dialogo se non quando la comunicazione è contemporaneamente razionale ed emozionale. Non si entra in relazione con persone stordite dall’angoscia e dalla paura se non quando le si riconosce nella propria soggettività, nell’appartenenza a un comune destino umano. Ecco allora che percorsi di educazione reciproca, volti alla ricerca di un linguaggio condiviso e di una nuova comunicazione medico/paziente fondata sulla persona, sono strumenti che meritano tutta la nostra attenzione. Ripensare il senso delle parole in oncologia in fondo altro non è che cercare di recuperare il significato originario della missione della medicina, in cui la parola “cura”, nella sua etimologia latina, significa premura, interesse, sollecitudine, disposizione d’animo, a prescindere dalla concretizzazione in atti specifici».

 

 

 

 

Annamaria Mancuso, Presidente di Salute Donna Onlus

«Nel contesto di una patologia come quella tumorale, condividere e comprendere reciprocamente le parole dette, e anche quelle non dette, non si esaurisce nel dare e ricevere informazioni corrette ma richiede al medico la capacità di avvicinarsi al vissuto emozionale del paziente, superando le barriere che si frappongono alla comprensione reciproca. Il miglioramento della relazione dipende da entrambi i protagonisti: da una parte, il medico dovrebbe essere capace di relazionarsi con il suo assistito in maniera più personale, cercando di immedesimarsi nella situazione di estrema difficoltà che il paziente sta vivendo. Dall’altro, un paziente che si informa sulla propria malattia riesce a controllare meglio la componente emotiva della relazione. Fondamentale è la figura del caregiver che può diventare un mediatore e un facilitatore del dialogo tra paziente e specialista».

 

 

                                                                               

Silvia Novello, Presidente di WALCE onlus

«Levoluzione scientifica in ambito diagnostico e terapeutico fa sì che molto spesso alcuni concetti siano complessi anche per un medico che non si occupa specificatamente di oncologia… figuriamoci per un paziente o un suo familiare. D’altra parte, l’eccessiva semplificazione può portare in egual misura ad un fraintendimento di alcuni concetti chiave. Va pertanto trovata una via efficace, lineare ed accessibile di comunicazione. Trovare paragoni, metafore, rimanere fermi su pochi ma chiari concetti, è sicuramente un buon punto di partenza. Ripetere più volte i concetti, anche in presenza dei familiari, è un altro passaggio utile, pur consapevoli che spesso il tempo concesso per una visita oncologica è troppo esiguo per parlare compiutamente di diagnosi, di test, di studi clinici, di possibili effetti collaterali e tanto altro. A maggior ragione l’alleanza terapeutica è fondamentale, perché, banalmente, si crede e si ascolta molto di più una persona di cui ci si fida».

 

 

 

 

                                                                               

Paolo Pasini, Presidente AIPaSiM

«Il caregiver, quasi sempre un familiare del paziente oncologico e oncoematologico, ha un compito delicato e difficile: gestire gli aspetti assistenziali, terapeutici, pratici e psicologici del malato. Il caregiver non è solo colui che ricorda al paziente quante pasticche deve prendere al giorno. Il suo compito è quello di seguirlo in tutto il percorso di cura e di assistenza, prescritto dai medici. Il fatto di dover modificare, cambiare o aggiustare le terapie ad un certo punto di questo percorso, comporta un continuo adattamento del paziente ad una diversa condizione e del caregiver a questa situazione in dinamico divenire. Il caregiver, quindi, deve avere le giuste conoscenze della malattia e la sua possibile evoluzione e al tempo stesso deve essere la persona più vicina al malato e ai suoi bisogni. La formazione è necessaria non solo per gli aspetti prettamente medici e pratici ma anche per l’aspetto psicologico».

 

 

 

 

Angela Piattelli, Vice Presidente SIPO – Società Italiana di Psico-Oncologia

 

«Oggi, di fronte ad una diagnosi di tumore, viene immediatamente attivato un percorso di cura multidisciplinare, ma non si tiene conto della concomitante potenziale diagnosi psicopatologica. Il rischio psicopatologico difatti viene spesso sottovalutato, ma noi sappiamo che al momento della diagnosi e nel follow up dopo le cure, i pazienti risultano, dalle consultazioni psicologiche, affetti da sindromi ansioso-depressive e da disturbi dell’adattamento che se non trattati, possono compromettere gravemente la qualità di vita futura. Gli interventi di maggiore efficacia scientifica sono le terapie cognitivo-comportamentali, le terapie supportivo-espressive e la terapia psico-educativa con un approccio interdisciplinare. Quello che manca invece è una legge nazionale che imponga l’inserimento della Psico-oncologia nel percorso di cura dei pazienti oncologici, anche se in alcune regioni come il Lazio è in corso di approvazione una legge regionale che va proprio in questa direzione».

 

 

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Autore: Redazione Medicina33.com